LA ROTTURA DEL FEELING TRA MEDICO E PAZIENTE POTRA' ESSERE SANATA CON METODI STRAGIUDIZIALI
Egregio direttore, è stato più volte rilevato che la responsabilità medica è ormai classificata all’interno della responsabilità civile come un vero e proprio “sottosistema”, sicché arriverebbe a sfiorare, capovolgendo la situazione originaria di protezione speciale del professionista, una dimensione parogettiva della responsabilità o, comunque, aggravata.
Una conferma di questo assunto si coglie anche nella argomentazioni sviluppate nella sentenza 9471 del 2004 dalla Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione (in Diritto e Giustizia, N. 25/04 pag. 32 e segg.) e nello stesso titolo della relativa nota di Marco Rossetti (“Per il medico convenuto sempre più difficile difendersi”).
L’assedio alla classe medica, lungi dall’aver rallentato la sua frequenza ed intensità dopo la sentenza delle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione del 10.7.02 n. 27, Francese (in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale n. 3, lug-sett. 2002, pag. 1133), è tuttora in corso in modo deciso e sempre più articolato.
Infatti, per le vittime della malpractice medica si è ritenuto di individuare un onere di allegazione semplificato sul piano probatorio, più o meno circoscritto alla entità del danno subito. Poiché la gente si è abituata a pretendere la guarigione assoluta, non si può fare a meno di affermare: “medico, cura te stesso”, perché è ben difficile che il sottosistema ti risparmierà’.
Il ring all’interno del quale va sviluppandosi 1a complessa contesa paziente-medico può essere rappresentato da due espressioni: “malpractice” (atto del medico) “malasanità’’(cattiva gestione dell’assistenza sanitaria e l’insieme delle situazioni che ne rendono evidente il disservizio o danno al cittadino).
Ciò che non trova i medici rassegnati alla’soccombenza è la problematica legata alle law suit, cioè alle azioni giudiziarie pretestuose ed infondate che, al di là notazioni letterarie o di riscontri sociologici, rappresentano in modo significativo il livello di tensione ormai raggiunto all’interno della classe medica, che con forte sensibilità avverte il bisogno effettivo di tutela contro accuse ritenute ingiuste.
E’ bene chiarire che, a monte di accuse di tal natura, è illusorio il solo richiamo al consenso informato ovvero, sul piano semplicemente reattivo, la definizione di coloro che pretestuosamente propongono azioni temerarie come speculatori del dolore.
E’ doveroso constatare che esiste un ambito in cui l’accusa può essere ritenuta giusta o ingiusta, rappresentato dal processo e dalla sentenza. Soltanto a seguito di una pronuncia che qualifichi ingiusta l’azione proposta nei confronti del, ‘professionista, costui potrà valutare l’opportunità di agire a sua tutela, sia pur con gli opportuni limiti, per ottenere un risarcimento conseguente ai torti o ai danni conseguenti alla improvvida azione proposta nei suoi confronti.
Si deve inoltre rilevare, che, ancor prima, esiste, comunque, l’evento che ha determinato la rottura del feeling fra paziente e medico, sicché la messa in crisi di questo particolare rapporto, che rappresenta un vero e proprio modello di interrelazione fra libero professionista e cliente, assume connotati molto particolari, solcati da diverse variabili, su cui occorre seriamente riflettere prima di agire.
L’evento ritenuto negativo, che spinge il paziente all’iniziativa contro il medico (ed oggi, con un trend sempre più crescente, anche contro il proprio legale), è rapportabile al ritenuto errore diagnostico, allo scarto di diligenza rispettò agli standard acquisiti ai metodi terapeutici da seguire nell’ambito della perizia e della prudenza e, in definitiva, al quadro complessivo dei comportamenti che ormai sono individuabili a seguito dello screening giurisprudenziale di merito e di legittimità.
Il deterioramento del rapporto medico-paziente potrà essere sanato, se possibile, soltanto sul piano legislativo e da uno sforzo comune che faccia davvero riflettere, attraverso meccanismi rapidi di natura stragiudiziale insieme con la previsione di un patto di conciliazione, come è accaduto in Francia con la Legge Kouchner e. 303 del 4.3.2002, che ha aperto nuovi scenari nel complesso problema dei confini fra responsabilità civile e sicurezza sociale.
La legge in questione, però, con l’inserimento del titolo “reparation des consequences des risques sanitaries” sposta l’asse dei nuovi diritti dei malati e sostituisce al rapporto/conflitto paziente-medico, la mediazione di strutture pubbliche a dimensione regionale, con il ricorso a periti iscritti in una lista nazionale e, conseguentemente, ad assicuratori che garantiscano seriamente la responsabilità civile.
L’innovazione introdotta dal legislatore francese e la articolata problematica ancora dibattute in Italia, in uno con il tentativo di costruire un modello europeo di risarcimento dei danni, rappresentano alcune delle questioni sottostanti e. speculari, rispetto alle ipotesi di cattivo esercizio professionale dell’arte medica.
Intanto, va rilevato che nel nostro paese sono scattati meccanismi di autodifesa dei medici (c.d. medicina difensiva) con defatiganti controlli e trattamenti per prevenire paventate conseguenze giudiziarie. Si è dimenticato, però, che in Italia esiste un Servizio Sanitario Nazionale che nulla ha a che fare con il modello rigorosamente privatistico esistente in USA. Si è dimenticato che per realizzare una “medicina migliore” i principi di solidarietà sociale e le responsabilità professionali debbono essere espressi in modo chiaro e definito. Se per un verso non si può più essere schiavi della ideologia della fatalità, per altro verso non si può pretendere che i medici svolgano il loro lavoro con l’assillo di un quasi automatico sbocco giudiziario per possibili errori di cui, peraltro, spesso viene amplificata la rilevanza anche in virtù delle ansie risarcitorie dei pazienti e delle notizie diffuse dalla stampa.
In conclusione ricordiamo che è stato più volte affermato che “quando La punta di un bisturi si poggia sulla’ carne viva di un paziente, del tutto indifeso, non c’è certezza di quello che accadrà. Il destino potrà aver messo il paziente delle mani di un chirurgo o di un altro. E questo può fare la differenza, anche quella fatale”. Il problema non è impedire ai cattivi dottori di danneggiare i pazienti, ma di evitare che questo succeda ai medici bravi.
Sicché, ancora in presenza di un non debellato pessimismo, non guasta la sottile ironia di Molière che, nell’ atto III, scena I del Don Juan ricorda al medico: “Quando, le cose vanno bene i medici se ne prendono il merito, e se il tuo malato è un uomo fortunato, fai bene ad approfittarne anche tu, e a lasciare che attribuiscano alle tue cure tutto ciò che di buono viene dalla sorte o dalle forze della natura”.
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